Nel carme 64, Catullo (I a.C.) inizia a narrare delle nozze di Peleo e Teti, genitori di Achille, e, mentre descrive la loro camera nuziale, si sofferma sulla coperta distesa sul letto. Buon pretesto per passare a un altro mito, lì abilmente raffigurato: quello dell’infelice amore di Arianna per Teseo.

Nell’immagine, mosaico della saga di Arianna e Teseo (IV d.C.).

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LA DISPERAZIONE DI ARIANNA: IL MITO RACCONTATO DALL’EPILOGO (1/6)

“Ed ecco sulla riva di Dia, battuta dalle onde, Arianna,

scrutando, vede Teseo in fuga, sulla nave che veloce se ne va,

e in cuore porta invincibile furia;

non vuol credere di aver visto ciò che ha visto,

ora che strappata a un sonno pieno di inganni

si ritrova tristemente sola sulla spiaggia deserta.

Ma il giovane, fuggendo, colpisce coi remi il mare né di lei si ricorda,

gettando ai venti in tempesta le vane promesse.

Tra le alghe, lo guarda da lontano con occhi disperati, la figlia di Minosse,

come la statua di marmo di una baccante!

Lo guarda ed è in balia di un mare infinito d’angoscia,

senza più trattenere sul biondo capo la bella mitria,

col petto non più coperto dal manto sottile;

né un laccio lega più il suo seno di latte:

scivolate dal corpo tutte le vesti giacciono

sparse ai suoi piedi e le onde del mare ne fanno un gioco.

Ma lei né della mitria né del manto ondeggiante

si curava: a te, Teseo,  con tutto il cuore, con tutta l’anima,

con tutta la mente si avvinghia smarrita”.

Catullo, Carme 64, vv. 52-70.

Nell’immagine, Carlo Saraceni, Arianna abbandonata (XVII secolo).

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IL COLPO DI FULMINE: ARIANNA SI INNAMORA DI TESEO (2/6)

“Sventurata: con quante torture l’ha fatta impazzire

Venere, seminandole in cuore pungenti dolori,

da quando Teseo, pieno d’orgoglio,

lasciando il Pireo dalle rive sinuose,

toccò le terre di Gortina, quelle di un re ingiusto.

Infatti raccontano che, costretta da un morbo crudele

a scontare la pena per la morte di Androgeone,

Atene, città di Cecrope, fosse solita dare in pasto al Minotauro

i giovani migliori e insieme le più belle vergini.

E poiché le piccole mura soffrivano per tali dolori,

proprio Teseo per l’amata Atene il suo corpo

volle sacrificare, perché mai più a Creta

quelle lugubri esequie viventi d’Atene andassero;

e così, portato da nave veloce e venti benigni,

approdò alla reggia del superbo Minosse.

Ma come lo scorse del re con occhi bramosi

la giovane figlia del re, che tra i dolci profumi del casto letto

il tenero abbraccio materno cresceva,

come i mirti nutriti dalle acque dell’Eurota

o i colori vivaci che genera l’aria di primavera,

non più da lui distoglie lo sguardo

in fiamme e la passione invade tutto il suo corpo

fin dentro le ossa, in tutte le viscere.

E tu, cuore crudele, che procuri questi furori,

che negli uomini mescoli gioie a dolori, divino fanciullo,

e tu, che regni su Golgi e sull’Idalio ricco di boschi,

in che tempeste avete gettato la giovane, nel profondo sconvolta,

che per il biondo straniero spesso sospira”.

Catullo, Carme 64, vv. 71-98.

Teseo tra Minosse e Arianna. Kylix attica a figure rosse (V a.C.)

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TESEO UCCIDE IL MINOTAURO (3/6)

“E quanti timori portò nel languido cuore!

Quante volte impallidì più del bagliore dell’oro,

quando Teseo, volendo combattere contro il mostro spietato,

rischiava la morte o i premi di gloria.

Ma i piccoli, inutili doni agli dei, promessi da lei,

preghiere bisbigliate sulle labbra, non furono vani.

Infatti, come tempesta selvaggia, che scuote col vento il vigore,

strappa una quercia, che agita i rami sulla cima

del Tauro, o un abete ricco di pigne, che trasuda resina

(quello lontano, divelto dalle radici,

cade riverso, spezzando tutt’intorno ciò che incontra),

così Teseo vinse il mostro, domato quel corpo

che invano al vento scagliava cornate.

E di là, nella gloria sano e salvo ritorna,

seguendo con filo sottile i passi incerti,

perché l’inestricabile groviglio del luogo non lo ostacoli,

mentre esce dalle contorte vie del labirinto”.

Catullo, Carme 64, vv. 99-115.

Pittore di Esone. Teseo uccide il Minotauro, assistito da Atena. Pittura vascolare dal tondo di una kylix attica a figure rosse (V a.C.)

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ARIANNA LASCIA LA CASA DEL PADRE PER RESTARE SOLA (4/6)

“Ma perché, fuori dal canto iniziale, più cose

dovrei ricordare, come una figlia, che abbandona lo sguardo del padre,

l’abbraccio della sorella e della madre,

che infelice aveva diletto solo in quella da lei generata,

abbia preferito a tutti questi il dolce amore di Teseo

o come, portata su nave, alle rive schiumose di Dia

sia giunta o come l’amante dal cuore immemore, partendo,

l’abbia lasciata vinta dal sonno che chiude gli occhi?

Raccontano che a lungo quella, pazza nel cuore in fiamme,

dal fondo del petto effuse le grida più acute

e triste si arrampicò su monti scoscesi,

da dove volgeva lo sguardo verso le vaste distese del mare,

e poi correva incontro alle onde del mare inquieto,

alzando la veste leggera sulle nude ginocchia,

e queste parole con tristi lamenti pronunciò

scuotendo dall’umido viso i freddi singhiozzi:

“Così, dunque, perfido, mi hai lasciato su una spiaggia deserta

dopo avermi portata via, malvagio Teseo, dalle are paterne?

Così, dunque, partendo contro il volere degli dei,

ah! immemore, porti in patria giuramenti traditi?

Nessuna cosa ha potuto piegare il progetto di una mente

crudele? Non hai proprio avuto pietà

che spingesse il tuo infido cuore a sentir compassione di me?

Ma un tempo non facevi queste promesse con voce

dolce, non queste cose lasciavi che io sperassi piena di passione,

ma un’unione serena, le nozze da me volute;

tutte parole vuote che i venti del cielo disperdono.

Ora nessuna donna creda più a un uomo che giura;

nessuna pensi sinceri i discorsi di un uomo;

quando il cuore ardente desidera con forza qualcosa,

non temono di giurare, non risparmiano promesse;

ma appena è stata saziata la passione del cuore voglioso,

non temono più ciò che hanno detto, non pensano ai giuramenti…”.

Catullo, Carme 64, vv. 116-148.

Nell’immagine, Arianna addormentata, copia romana di una scultura ellenistica (III a.C.).

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ARIANNA CHIEDE AGLI DEI UNA GIUSTA VENDETTA (5/6)

“Ma i miei occhi non li chiuda la morte

né i sensi lascino il corpo sfinito,

prima che io, tradita, chieda agli dei la pena dovuta

e invochi nell’ora della fine l’aiuto divino.

Perciò voi che punite con la vendetta le azioni dell’uomo,

o Eumenidi, la cui fronte rivela lo sdegno che spira dal cuore,

qui, qui venite di corsa ad ascoltare le pene

che io, ah! infelice, non più trattengo

nell’intimo, abbandonata, rabbiosa, cieca per folle furore.

E poiché queste pene nascono schiette dal fondo del cuore,

fate che il mio soffrire non vada perduto,

ma con quale mente Teseo sola mi lasciò,

con tale mente, o dee, sia sciagura per sé e per i suoi”.

Catullo, Carme 64, vv. 189-201.

Nell’immagine, Angelica Kauffmann, Arianna abbandonata da Teseo, 1782.

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LA PUNIZIONE DI TESEO (6/6)

“Appena disse dal cuore triste queste parole,

chiedendo, ansiosa, la pena ai fati crudeli,

annuì il signore degli dei, che tutto può.

E a questo suo cenno, la terra e il mare selvaggio

tremarono e il cielo sconvolse le stelle brillanti.

Lo stesso Teseo – la mente offuscata da nero

fumo – lasciò uscire dal cuore dimentico

tutti i comandi che prima serbava con solida mente

e, senza issare al triste padre felici segnali,

si mostrò, salvo, in vista del porto di Atene …”

(Teseo era partito con vele scure sulla nave, ma il padre gli aveva ordinato di rientrare con vele bianche per mostrargli da lontano che era sopravvissuto, cosa che il giovane dimentica di fare)

“Ma il padre, che l’orizzonte scrutava dall’alta rocca,

consumando gli occhi ansiosi in pianti infiniti,

appena scorse le vele gonfiate dal vento,

si gettò a precipizio dall’alta scogliera,

credendo Teseo perduto dall’implacabile fato.

Così, entrato nelle stanze della reggia colpita dalla morte del padre,

il feroce Teseo provò lui stesso il dolore

che alla figlia di Minosse aveva causato, scordando i giuramenti.

E lei allora, cercando triste la nave che fugge,

volgeva nell’animo molteplice angosce, ferita com’era”.

Catullo, Carme 64, vv. 202-211 e 241-264.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nell’immagine, Kylix attica con Egeo che consulta l’oracolo della Pizia, V a.C.

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