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Pitture rupestri del Sahara: l’arte del Tassili n’Ajjer

Nel 1956 Henri Lhote rivelò al mondo tutta la ricchezza delle pitture e delle incisioni preistoriche nascoste nel sud dell’Algeria


Nel XIX secolo molti viaggiatori europei che percorrevano l’immenso territorio del Sahara – accompagnando le spedizioni militari dell’epoca coloniale o al seguito di carovane commerciali – constatarono l’esistenza di antiche pitture e graffiti rupestri. Uno di questi fu l’esploratore tedesco Heinrich Barth, che nel corso di uno dei suoi viaggi tra Tripoli, il Niger e il Ciad trovò a Uadi Tilizzaghen, nel sud-ovest della Libia, l’incisione di un cacciatore mascherato. Scelse di ribattezzarlo Apollo Garamante, in riferimento alla popolazione dei garamanti che, secondo Erodoto, occupava la parte occidentale della Libia.

Ritratto dell'esploratore e geografo tedesco Heinrich Barth. XIX secolo

Ritratto dell'esploratore e geografo tedesco Heinrich Barth. XIX secolo

Foto: UIG / Album

Nonostante il fatto che le scoperte come quella di Bart e di altri ricercatori fossero certamente ben documentate e divulgate, la maggior parte degli studiosi europei era convinta del fatto che le culture africane fossero statiche e sterili. Per questo motivo nessuno credeva che le popolazioni autoctone fossero state capaci di realizzare disegni tanto elaborati, che vennero attribuiti a stranieri di passaggio nella zona.

Solo negli anni trenta cominciò a delinearsi un’immagine chiara dell’arte rupestre sahariana. In quell’epoca le forze mehariste dell’Algeria, che allora era sotto il dominio francese, realizzarono numerose spedizioni nel Sahara e, grazie all’uso dei dromedari (in arabo, mehari) raggiunsero con facilità zone poco accessibili. Una di queste zone era il Tassili n’Ajjer, un vasto altipiano (in berbero, tassili), situato nel Sahara centrale.

Animali e cacciatori

Nel 1932 Charles Brenans, un giovane colonnello francese amante del deserto, in una scarpata del Tassili scoprì centinaia di splendide incisioni raffiguranti esemplari di fauna africana selvaggia – buoi, elefanti, giraffe, rinoceronti, antilopi, leoni – oltre a numerose e diverse figure antropomorfe. La scoperta di Brenans attirò l’attenzione degli specialisti sull’eccezionale complesso di arte rupestre del Tassili. Nel 1956 l’etnologa svizzera Yolande Tschudi pubblicò la prima monografia dedicata a quest’arte. Quello stesso anno il francese Henri Lhote intraprese una grande campagna di studi che durò quindici mesi, sotto l’egida del Musée de l’homme e del Centro nazionale di ricerca scientifica (CNRS) di Parigi, nonché dell’Istituto di ricerche sahariane di Algeri. Con una squadra di pittori e un fotografo al seguito, Lhote fece un enorme lavoro di documentazione nel Tassili n’Ajjer. Poté contare addirittura sulla collaborazione dei tuareg della zona, sfruttando la loro vastissima conoscenza del territorio. In particolare, la guida Machar Jebrine ag Mohamed facilitò di gran lunga l’arduo compito di Henri Lhote.

Nel 1929 Henri Lhote fu vittima di un incidente e sarebbe morto di sete se i tuareg non l’avessero salvato, come riportava il settimanale Le Petit Journal il 28 luglio del 1929

Nel 1929 Henri Lhote fu vittima di un incidente e sarebbe morto di sete se i tuareg non l’avessero salvato, come riportava il settimanale Le Petit Journal il 28 luglio del 1929

Foto: Leemage / Getty Images

   

Terre di giganti

L’esploratore francese aveva anche avuto l’opportunità di conoscere, anni prima, il colonnello Brenans, che gli aveva detto: «Quando vedrai Jabbaren, rimarrai impietrito dalla meraviglia». E, in effetti, quando arrivò al massiccio tassiliano di Jabbaren – termine che in lingua tuareg significa “i giganti” – restò impressionato dalle grandi pitture che coprivano le rocce. Il gruppo di Lhote lavorò freneticamente e in soli otto mesi riuscì a ricopiare circa 400 dipinti.

Un gruppo di donne riposa e conversa in modo rilassato. Hanno acconciature alte e una regge un arco. Periodo bovidiano

Un gruppo di donne riposa e conversa in modo rilassato. Hanno acconciature alte e una regge un arco. Periodo bovidiano

Foto: DEA / Scala, Firenze

Nel 1957, di ritorno a Parigi, Lhote e la sua squadra inaugurarono immediatamente una mostra che ebbe un successo straordinario e una risonanza tale da consacrare l’esploratore ed etnologo francese come il grande scopritore dell’arte rupestre sahariana. Ciononstante, con il passare del tempo il suo lavoro iniziò a essere messo in discussione. Nel 2002 l’antropologo britannico Jeremy Keenan denunciò in un articolo che Lhote aveva esposto delle riproduzioni false. Si riferiva in particolare a delle riproduzioni che avrebbero dovuto dimostrare l’esistenza di contatti tra il Sahara centrale e l’Egitto dell’epoca dei faraoni. Nell’articolo si mostravano svariate prove del fatto che Lhote avesse manipolato intenzionalmente i risultati delle sue scoperte per renderle decisamente più attraenti agli occhi del grande pubblico.

A partire dagli anni sessanta l’interesse riguardo all’arte rupestre sahariana crebbe a dismisura e si succedettero svariati studi e pubblicazioni, ma molti di questi sono opera di dilettanti o di esploratori che tendono a opinare sulla cronologia e sul significato delle opere senza troppe basi scientifiche. Gli studi archeologici non sono di solito pubblicati in libri, bensì in riviste specializzate, e questo rende più difficile che possano arrivare al grande pubblico.

Stili diversi

L’arte rupestre sahariana non è per nulla un insieme omogeneo. È composta sia da incisioni, le più numerose, che da pitture, diffuse unicamente in certe zone, principalmente nel Tassili n’Ajjer, in Algeria, e a Tadrart Acacus, in Libia. A differenza delle pitture paleolitiche franco-cantabriche, l’arte rupestre sahariana non è mai stata ritrovata in grotte profonde, ma per lo più in ripari all’aria aperta o su pareti verticali con sporgenze che sono riuscite a proteggere le opere dai venti e dalle tempeste di sabbia, dal sole e dalla pioggia. Gli studiosi hanno classificato l’arte rupestre sahariana in periodi a seconda dei motivi raffigurati. Il più antico è quello delle “teste rotonde”, caratterizzato dalla presenza di figure umane la cui testa, di solito unita al corpo senza collo, è rappresentata da un cerchio privo di tratti facciali.

Pittura del cosiddetto «grande dio di Sefar», del periodo delle “teste rotonde”. Rappresenta un essere cornuto circondato da cervidi

Pittura del cosiddetto «grande dio di Sefar», del periodo delle “teste rotonde”. Rappresenta un essere cornuto circondato da cervidi

Foto: David Coulson / Age Fotostock

Il “periodo bovidiano” si contraddistingue per lo stile naturalistico e i temi pastorali. In questo gruppo spicca la cosiddetta scuola di Ihren-Tahilahi, in cui predominano le scene di vita quotidiana. Nel “periodo del cavallo” il motivo del “carro al galoppo volante”, un carro condotto da un cavaliere e trainato da cavalli, è estremamente ricorrente. Infine, l’intensificarsi dell’aridità (circa tremila anni fa) che provocò la scomparsa dal Sahara delle società di pastori di grandi bovidi, favorì la comparsa nelle pitture di un nuovo soggetto animale: iniziò il cosiddetto “periodo del cammello”.

Date controverse

Gli specialisti hanno dibattuto a lungo sull’epoca di datazione dei disegni. Alcuni di loro prediligono una cronologia lunga, che comincerebbe attorno al 10000 a.C., mentre altri propendono invece per una breve, più verso il 4500 a.C. Quest’ultima posizione, difesa da autori come Jean-Loïc Le Quellec o François Soleilhavoup, è quella che oggi raccoglie maggior consenso scientifico, soprattutto tra i ricercatori francesi. Su questo tema, così come su quello del sistema di credenze magiche o religiose che dava significato a quest’arte enigmatica, il dibattito è ancora aperto.

Alcune incisioni mostrano esemplari di fauna africana, come la giraffa, che nell’immagine ha di fronte un cacciatore. Periodo bubalico

Alcune incisioni mostrano esemplari di fauna africana, come la giraffa, che nell’immagine ha di fronte un cacciatore. Periodo bubalico

Foto: E. Strigl / Age Fotostock

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