di Andrea Milanesi
Spettacolo nello spettacolo: ascoltare le Quattro stagioni di Vivaldi sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, con la scenografia naturale delle luci serali riflesse nello specchio d’acqua della Laguna, svelate dalla parete a vetri dell’“abside” del nuovissimo Auditorium “Lo Squero” della Fondazione Giorgio Cini.
Organizzato dalla Fondazione Enzo Hruby, il concerto ha visto protagonista la violinista Anastasiya Petryshak, accompagnata per l’occasione dalla ZHdK String Orchestra, formazione giovanile composta da musicisti provenienti da 14 diverse nazioni.
Reduce da un gran gala presso il Teatro Carlo Felice di Genova, dove ha suonato il celebre “Cannone” appartenuto a Paganini, la giovane e bella artista ucraina si è presentata sulla ribalta musicale della Serenissima con un curriculum di studi di tutto rispetto. Trasferitasi in Italia nel 2005 per proseguire gli studi dello strumento, ad appena 15 anni si è ritrovata a essere la più giovane partecipante al Corso di alto perfezionamento di violino tenuto da Salvatore Accardo, all’Accademia Internazionale “Walter Stauffer” di Cremona e all’Accademia Chigiana di Siena, che peraltro continua tuttora a frequentare.
Diplomata anche al Corso di alto perfezionamento all’Accademia Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola, l’anno scorso la Petryshak ha ottenuto la laurea specialistica a indirizzo interpretativo del Corso di Alta Formazione Artistica e Musicale (con il massimo dei voti e lode con la menzione d’onore) presso l’Istituto “C. Monteverdi” di Cremona; sempre nel 2015 è stata scelta per far parte del progetto “Il Grande Mistero”, ideato e voluto da Papa Francesco e dal Pontificio consiglio per la famiglia per celebrare la giornata mondiale della famiglia con una serie di concerti nelle cattedrali più importanti nel mondo, esibendosi più volte al fianco del cantante Andrea Bocelli.
Ma torniamo al concerto veneziano e alle Stagioni vivaldiane. Quella della Petryshak è stata una lettura praticamente perfetta, sia dal punto di visto tecnico che artistico, che ha smussato le spigolosità insite nelle impervie pagine del Prete rosso e a tratti le ha sciolte in puro canto; con equilibrio e naturalezza, con bellezza e potenza di suono, con una spontaneità che ha individuato nei giovani cameristi dell’ensemble svizzero degni complici, soprattutto negli episodi in dialogo fra diversi gruppi strumentali (particolare l’intesa con il gruppo del “concertino”, violoncello e cembalo).
Il valore aggiunto di una così suggestiva location ha però a che fare con una dimensione “altra”, che sembra riportare queste musiche nella loro dimensione originaria, ben oltre le apparenti superfici luminose e solari del puro virtuosismo verso i chiaroscuri espressivi di un gioco tra luci e ombre che nella laguna veneziana trova il suo playground naturale.
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