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cultură şi spiritualitate

Dal 661 d.C. l’impero musulmano fu governato da una dinastia imparentata con la famiglia di Maometto. Gli omayyadi vennero accusati di scarsa devozione religiosa e di ambizioni assolutiste e dovettero affrontare continue rivolte prima di essere sconfitti nel 750 d.C.


https://www.storicang.it/a/creazione-dellimpero-musulmano_14612

Nel 657, nella località siriana di Siffin, due grandi eserciti musulmani si studiarono con grande pazienza. Erano guidati rispettivamente da Ali, il quarto califfo dell’islam dopo la morte di Maometto, e dal governatore della Siria, Mu'awiya, che si era ribellato in seguito all’omicidio del precedente califfo e aveva così dato inizio alla Prima fitna (guerra civile) dell’islam. Dopo vari tentativi di negoziazione, a luglio Ali decise di attaccare. Vedendosi in difficoltà, gli uomini di Mu'awiya proposero di sottoporsi a un arbitrato. L’interruzione del conflitto si sarebbe rivelata fatale per Ali, che da quel momento in poi perse gran parte dei suoi alleati e quattro anni più tardi fu assassinato. Dopo essersi assicurato l’Egitto, il suo rivale fu proclamato califfo a Gerusalemme nel luglio del 660.

La grande Moschea di Damasco, uno dei templi più grandi e venerati dell’islam

La grande Moschea di Damasco, uno dei templi più grandi e venerati dell’islam

Foto: Michele Falzone/Awl Images

Mu'awiya proveniva da una famiglia di mercanti, gli omayyadi, che apparteneva alla tribù dei Quraysh, la stessa di Maometto. Suo padre era stato un nemico del profeta, e solo di fronte all’imminenza della sconfitta aveva accettato di convertirsi insieme al figlio alla nuova religione. Chi aveva appoggiato Maometto dubitava della sincerità di quella conversione e temeva un ritorno al potere delle vecchie forze precedenti alla nascita dell’islam. Nonostante il sospetto con cui era visto, Mu'awiya sarebbe passato alla storia come un modello esemplare di capotribù arabo.

Nell’illustrazione, la battaglia di Siffin (657). British Library, Londra

Nell’illustrazione, la battaglia di Siffin (657). British Library, Londra

Foto: British Library/Scala, Firenze

La costruzione di un impero

Quando Mu'awiya salì al potere, il califfato comprendeva l’Egitto, la Libia, la Siria, la Mesopotamia e l’Iran. Il nuovo sovrano e i suoi discendenti proseguirono l’opera di espansione, raggiungendo la penisola iberica e i confini dell’India. Ma, soprattutto, si dedicarono al compito di organizzare questo immenso territorio avvalendosi dell’esperienza degli imperi precedenti. Mu'awiya stabilì la sua corte a Damasco e sfruttò le strutture amministrative preesistenti, senza apportare innovazioni. La gestione delle relazioni con le tribù era affidata ad appositi funzionari. Alle comunità non musulmane, che rappresentavano la maggioranza della popolazione del giovane impero islamico, fu concesso di conservare le proprie strutture. Grazie alla notevole capacità nel gestire le tribù e le sue grandi abilità nel campo della politica tribale, Mu'awiya riuscì a garantire a suo figlio la successione al trono. Si trattava di un fatto inedito: la tradizione in vigore fino ad allora prevedeva che il califfo fosse eletto da un’assemblea di notabili. Con l’ascesa al potere di Yazid I nel 680, gli omayyadi diedero vita alla prima dinastia della storia dell’islam.

La cupola della roccia di Gerusalemme costruita vicino alla roccia da cui Maometto ascese al cielo in sella al suo destriero

La cupola della roccia di Gerusalemme costruita vicino alla roccia da cui Maometto ascese al cielo in sella al suo destriero

Foto: Reinhard Schmid/Fototeca

Dissidenze interne

I primi a ribellarsi al potere omayyade furono i sostenitori di Ali, il califfo assassinato. Sotto la guida di Husain, figlio di Ali, si scontrarono con un distaccamento di Yazid nella celebre battaglia di Kerbela, ma vennero sconfitti. Lo stesso Husain vi trovò la morte. Nel mondo musulmano si stava diffondendo il malcontento verso lo stato creato dagli omayyadi, ormai più simile al vecchio modello bizantino che al califfato ideale prospettato dalla dottrina di Maometto.

Qasr-Kharana, una fortificazione destinata allo svago della famiglia del califfo

Qasr-Kharana, una fortificazione destinata allo svago della famiglia del califfo

Foto: Manuem Cohen/Aurimages

Alcuni discendenti dei compagni del profeta, guidati da Abd Allah ibn al-Zubayr, insorsero contro il califfo e si asserragliarono nelle città sante di Medina e La Mecca. Gli abitanti di Medina protestarono simbolicamente contro gli omayyadi gettando a terra turbanti, mantelli e sandali. Yazid rispose a tale sfida saccheggiando Medina per tre giorni e sottoponendo La Mecca a un duro assedio. Yazid non riuscì quindi a placare la ribellione e alla sua morte improvvisa, avvenuta nel 683, si inaugurò un periodo di instabilità conosciuto come Seconda fitna. Il mondo musulmano era lacerato: Ibn al-Zubayr governava su un territorio che andava dall’Arabia all’Egitto, mentre il nuovo califfo Abd al-Malik ormai controllava solo la Siria. Al-Malik assediò nuovamente La Mecca nel 691, deciso a chiudere i conti con Ibn al-Zubayr e con i suoi sostenitori.

L’effigie del califfo

Nonostante la cattiva reputazione di cui godeva la dinastia, i governi di al-Malik e del figlio, al-Walid I (705-715), intensificarono gli sforzi per islamizzare e arabizzare il califfato, come testimonia il caso dell’unificazione monetaria. Al posto della moneta bizantina e sasanide, in uso fino ad allora, ne venne coniata una nuova, con l’immagine del califfo, la guida spirituale e militare dell’islam. Analogamente l’arabo sostituì il greco nei documenti ufficiali. In ambito pubblico si rafforzò il primato dell’islam sulle religioni preesistenti, in particolare sul cristianesimo, ai cui adepti fu proibito di fare processioni o esporre croci in pubblico.

Questo dinar d’oro dell'anno 695 rappresenta il califfo Abd al-Malik. British Museum, Londra

Questo dinar d’oro dell'anno 695 rappresenta il califfo Abd al-Malik. British Museum, Londra

Foto: Scala, Firenze

La fine della dinastia

Alla morte di al-Walid I si succedettero tre califfi nel giro di appena nove anni. Tra questi si distinse Omar II (717-720), che sarebbe passato alla storia per la devozione religiosa e l’applicazione della legge islamica nella gestione dello stato. Nonostante l’introduzione di varie riforme amministrative, lasciò in eredità una grave crisi economica. Se da un lato le spese erano in continuo aumento, dall’altro si era interrotto quel flusso di bottini di guerra un tempo garantito dall’espansione del califfato. Un’altra perdita nelle entrate dipendeva dall’esenzione fiscale di cui beneficiavano i neoconvertiti. In alcuni casi si arrivò a proibire l’adesione all’islam di grandi masse, per evitare che approfittassero dei vantaggi economici e sociali connessi all’adozione del credo musulmano. Nel frattempo svariati nemici continuavano a cospirare contro gli omayyadi. L’instabilità politica di Damasco favorì lo scoppio di un’insurrezione che segnò l’inizio della Terza fitna. I nemici arabi e non arabi degli omayyadi si coalizzarono in un ampio movimento, l’Hashimiyya, guidato da Abu Muslim. Questo generale dichiarò guerra all’ultimo califfo omayyade in Siria, Marwan II. Nonostante vari tentativi di soffocare la ribellione, Marwan perse la strategica città di Kufa e fu sconfitto.

Gli arabi marciano alla conquista della Spagna. Immagine di un manoscritto del 1237

Gli arabi marciano alla conquista della Spagna. Immagine di un manoscritto del 1237

Foto: Oronoz/Album

A cinque anni dalla sconfitta degli omayyadi, uno degli ultimi sopravvissuti della dinastia sbarcò nel porto di Almuñécar (Spagna). Abd al-Rahman ibn Mu'awiya riuscì a conquistare il potere in al-Andalus (la Spagna musulmana) approfittando delle dispute tribali, analogamente a quanto aveva fatto in Siria il suo omonimo antenato. A migliaia di chilometri da Damasco, il destino stava offrendo agli omayyadi una nuova opportunità.

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