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Gaugamela, la vittoria decisiva di Alessandro

Un re venticinquenne cavalca al comando dei suoi uomini contro un imponente esercito nemico e decide la vittoria con la sua spada. Quel re è Alessandro, il luogo della battaglia Gaugamela. Il favoloso impero persiano sarà il premio per il vincitore

La notte del 20 settembre del 331 a.C. la luna scomparve dal cielo e il mondo affondò nell’oscurità. Gli indovini interpretarono questo evento – un’eclissi lunare – come il presagio di un’imminente disgrazia che avrebbe colpito i persiani e come l’annuncio di un cambiamento epocale. L’allarme si diffuse tra le file dell’esercito che Dario III, il sovrano persiano, aveva mobilitato per frenare l’avanzata degli invasori provenienti dalla Grecia e dalla Macedonia. Questi erano guidati da un re venticinquenne, Alessandro, che in soli tre anni aveva dato prova concreta delle sue abilità di stratega e della sua indomabile ambizione. La spedizione greco-macedone era iniziata nel 334 a.C. come una semplice campagna punitiva per vendicare le offese che i sovrani persiani avevano arrecato agli dèi greci durante le guerre di oltre un secolo e mezzo prima. Ma, dopo essersi imposto con autorità sugli eserciti nemici nelle battaglie del Granico e di Isso, l’esercito di Alessandro era ormai diventato una minaccia gravissima per la sopravvivenza del dominio persiano in Asia. E questo a dispetto del fatto che fosse sempre in inferiorità numerica.

Alessandro cavalca verso Dario nella battaglia di Gaugamela

Alessandro cavalca verso Dario nella battaglia di Gaugamela

Foto: Arnaudet-Blot/Rmn-Grand Palais

Una questione personale

A Isso Alessandro era addirittura riuscito a catturare la famiglia di Dario III. Il re persiano era stato costretto a fuggire per salvarsi e poter così continuare a guidare la resistenza contro il giovane sovrano macedone, che non aveva mai perso una battaglia. Lo scontro tra i due aveva ormai assunto le tinte di una questione personale. Dopo Isso, per assicurarsi la retroguardia Alessandro occupò la Siria, la Fenicia e l’Egitto, quindi avanzò verso l’interno dell’impero persiano, dove Dario aveva cercato di radunare un esercito immenso con cui schiacciare il suo avversario. Ma la fama dell’invincibile Alessandro lo precedeva ovunque, rafforzata da prodigi come l’eclissi di settembre. Dario cercò di trovare un terreno favorevole al suo piano di battaglia, incentrato sullo sfruttamento di spazi ampi per dispiegare l’enorme esercito ai suoi ordini.

Gaugamela si trova sulla sponda orientale del fiume, che Alessandro attraversò senza problemi utilizzando un guado

Gaugamela si trova sulla sponda orientale del fiume, che Alessandro attraversò senza problemi utilizzando un guado

Foto: Bruce Colemar/Alamy/Aci

L’armata persiana era costituita da un variegato insieme di unità provenienti da ogni angolo dell’impero, tra cui spiccavano la magnifica cavalleria corazzata di catafratti, proveniente dalla Battria e dalla Sogdiana; i letali arcieri a cavallo massageti, di origine scita; la cavalleria pesante persiana, sempre al fianco del suo re e, soprattutto, l’irriducibile fanteria di mercenari greci, composta in gran parte da esiliati e oppositori di Alessandro e della sua egemonia sulla Grecia. Un enorme gruppo di fanti proveniente dall’India rinforzava ulteriormente quel vasto ed eterogeneo esercito. Ma Dario conosceva molto bene la capacità strategica di Alessandro e la mobilità della fanteria leggera macedone. Quindi, per rompere le file nemiche volle con sé anche 50 carri falcati, cioè provvisti di lame taglienti sulle ruote, e 15 elefanti da guerra indiani. Nel complesso il suo esercito ammontava a circa 250mila effettivi, se si dà credito alle stime degli autori antichi.

Dracma d’argento coniata dalla città di Larissa attorno al 400 a.C., con un cavaliere della Tessaglia

Dracma d’argento coniata dalla città di Larissa attorno al 400 a.C., con un cavaliere della Tessaglia

Foto: Granger/Aurimages

La pianura di Dario

Per poter dispiegare tutte le sue forze, Dario aveva bisogno di una vasta pianura che gli permettesse di circondare le unità di Alessandro. Gli angusti spazi attorno al Granico e a Isso non avevano permesso ai persiani di sfruttare al meglio le proprie risorse. Quando, a fine settembre, poco dopo l’eclissi, Dario venne a sapere che Alessandro si stava avvicinando da occidente, decise di retrocedere e attendere il suo avversario sulla spianata di Gaugamela, nei pressi di un villaggio di nome Arbela (odierna Erbil, in Iraq). Qui non c’erano né colline né ostacoli che consentissero ad Alessandro di rifugiarsi e ottenere vantaggi difensivi. Su quella pianura, arida e sconfinata, Dario avrebbe arrestato la corsa del nemico macedone. Ma Alessandro sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto scontrarsi con i persiani in campo aperto. Alcuni dei suoi generali più esperti gli avevano raccomandato di attaccare di notte, per sfruttare l’oscurità e ridurre, attraverso una vittoria, l’enorme divario di dimensioni tra i due eserciti: il contingente greco-macedone si attestava infatti sui 47mila effettivi. Ma Alessandro non voleva una vittoria “rubata” con espedienti di questo tipo. Quando fu informato che il nemico era ormai vicino, ordinò agli uomini di accamparsi ed espose a tutti il suo piano di attacco.

L’indovino Aristandro e Alessandro la notte prima della battaglia di Gaugamela

L’indovino Aristandro e Alessandro la notte prima della battaglia di Gaugamela

Foto: Akg/Album

Il successo dell’esercito di Alessandro in Asia si basava in gran parte sulla letale combinazione di due caratteristiche. Da un lato, la manovrabilità dell’impenetrabile falange macedone, una fanteria semileggera armata con la sarissa, una lancia di sette metri di lunghezza. Dall’altro, la forza e la velocità della cavalleria dei Compagni, formata da aristocratici macedoni e alla cui testa c’era immancabilmente il sovrano stesso. Alessandro aveva aggiunto a questo meccanismo dei rinforzi di fanteria oplitica greca, nonché l’infallibile cavalleria tessala, la migliore dell’epoca, e dei corpi di carattere ausiliario con armamenti leggeri, come gli arcieri cretesi e i lancieri agriani (provenienti dall’attuale Bulgaria). Questi, a seconda dei casi, potevano fungere da appoggio alla cavalleria, colpire il nemico da lontano, oppure consolidare le posizioni della fanteria.

Probabile rappresentazione di sacerdoti zoroastriani sulla scalinata del palazzo di Dario I a Persepoli

Probabile rappresentazione di sacerdoti zoroastriani sulla scalinata del palazzo di Dario I a Persepoli

Foto: Morandi/Alamy/Aci

Il grande scontro

All’alba del primo ottobre del 331 a.C. l’esercito di Dario era già completamente schierato in posizione di battaglia. Alessandro capì rapidamente che se quell’enorme numero di effettivi persiani fosse riuscito a circondarli, non avrebbero avuto scampo. Di fronte a questa prospettiva, decise di puntare su una strategia così azzardata che i suoi avversari non avrebbero potuto prevederla. La formazione persiana era schierata, come sempre, con il Grande Re al centro, fiancheggiato dalla sua cavalleria di nobili e dallo squadrone degli Immortali, la terribile fanteria persiana nota per le lance con un contrappeso a forma di melagrana. Su entrambi i lati di questo gruppo si estendevano reggimenti eterogenei, tra cui spiccavano la cavalleria di Besso sull’ala sinistra e quella di Mazeo sulla destra. Alessandro schierò i suoi suddividendoli in due gruppi. L’ala sinistra, in cui si trovavano la cavalleria tessala e l’imbattibile falange, avrebbe cercato di reggere l’urto del grosso dell’esercito nemico. L’ala destra, invece, avrebbe aperto al massimo lo spazio di combattimento: la cavalleria dei Compagni guidata da Alessandro, in particolare, avrebbe condotto una manovra a sorpresa, allontanandosi dal luogo dello scontro per separare i suoi inseguitori dal resto dell’esercito.

La guardia del re persiano. Un membro degli immortali, i 10 mila soldati d'élite del grande re

La guardia del re persiano. Un membro degli immortali, i 10 mila soldati d'élite del grande re

Foto: Erich Lessing/Album

Il fatto che Alessandro si staccasse dalla sua fanteria consentì ai persiani di concentrare l’attacco su di essa, mandando i letali carri falcati a fare breccia tra gli avversari. L’assalto penetrò così in profondità che una parte dei persiani riuscì ad arrivare fino all’accampamento di Alessandro, dove cercò di liberare la famiglia di Dario. Ma la madre Sisigambide si rifiutò di seguirli, consapevole del grave rischio che rappresentava la fuga, dato che la battaglia non era ancora decisa. I soldati quindi saccheggiarono le tende nemiche, dimenticandosi della lotta spietata che infuriava tra il resto degli eserciti. Dal canto loro, la fanteria macedone e i cavalieri tessali continuavano a mantenere la posizione con gravi difficoltà davanti all’enorme numero di avversari. I persiani dovettero credere che la vittoria fosse ormai solo questione di tempo. Ma a quel punto, inaspettatamente, la cavalleria di Alessandro cambiò direzione, penetrando improvvisamente tra le file dell’ala destra nemica, che si era aperta nell’iniziale tentativo di inseguimento e ora era tutta impegnata a incalzare la falange macedone. Si creò così una breccia nell’impenetrabile linea persiana, che lasciava libero un accesso diretto al Grande Re e alle sue guardie. Alessandro diede prova della sua fierezza e i Compagni dimostrarono ancora una volta la loro forza imponendosi selvaggiamente sugli avversari e arrivando a minacciare lo stesso Dario. Ormai in scacco, il re persiano vide che una parte dei suoi cavalieri migliori, agli ordini di Besso, stava soppesando la fuga. Se fosse stato catturato, tutto sarebbe andato perduto. Così decise di scappare.

Dario fugge da Alessandro nel cosiddetto mosaico della battaglia di Isso ritrovato a Pompei

Dario fugge da Alessandro nel cosiddetto mosaico della battaglia di Isso ritrovato a Pompei

Foto: Erich Lessing/Album

Un impero come trofeo

Quando vide fuggire Dario, Alessandro sentì svanire le sue speranze di mettere fine alla guerra. Si lanciò all’inseguimento dei nemici, ma gli arrivarono richieste di aiuto dalla sua fanteria che, guidata da Parmenione, stava continuando a resistere all’assalto persiano. Tornò allora a unirsi allo scontro, schiacciando tra due fronti gli avversari e poi inseguendo chi abbandonava il campo di battaglia una volta saputo che Dario era in fuga. Alessandro era ormai il signore dell’Asia.

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