di Laura Corchia
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Attributa a Cimabue fino alla fine del secolo scorso, la Madonna Rucellai fu commissionata a Duccio di Buoninsegna dalla Compagnia dei Laudesi nel 1285 per la Chiesa di Santa Maria Novella. Il documento di allogagione della magna tabula fu pubblicato nel 1790 e solo nel 1889 Wickhoff attribuì correttamente l’opera al pittore senese.
Al centro della composizione è raffigurata la Vergine in trono con il piccolo Gesù benedicente. Maria, secondo i canoni bizantini, ha il manto blu, la testa cupoliforme, la forcella scura all’attaccatura del naso, le occhiaie molto accentuate. La composizione, lieve e spaziosa, colpisce per la delicatezza dei colori e per la semi trasparenza del camicino di Gesù.
La grande tavola si ispira alla Maestà del Louvre di Cimabue, con la quale condivide la medesima inclinazione dei volti, i gesti delle due figure principali, la disposizione del trono in tralice, l’impostazione della cornice. Rispetto però a Cimabue, Duccio conferì una maggiore dolcezza nei volti e una impostazione più aristocratica e raffinata.
Duccio di Buoninsegna, Madonna Rucellai, 1285
Con ogni probabilità, Duccio prese a modello le opere che, dalla Francia, cominciavano a diffondere il nuovo gusto gotico in Italia. Non ricorse alle lumeggiature dorate dell’agemina, sostituendole con delicate modulazioni del colore. Gli abiti si caratterizzano per la linea arabescata e capricciosa, molto diverse dalle linee a zig zag tipiche della pittura bizantina.
Ricchissima è la gamma cromatica: le vesti rosa, blu e verdi degli angeli, le aureole delicatamente trasparenti. I sei angeli si dispongono in modo uno sopra l’altro, occupando uno spazio assolutamente non realistico.
La cornice, in parte d’oro e in parte dipinta, reca una fascia di clipei che ospitano i busti di profeti e santi domenicani, tutti ben caratterizzati dal punto di vista fisiognomico.
Secondo Carli, Duccio è riuscito perfettamente a “conciliare perfettamente l’ideale bizantino del potere e della dignità ieratica, con l’innata tenerezza e il misticismo dell’anima senese”.
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